Ponte a Ema

I toscani che hanno fatto la storia

Gino Bartali, l’eroe Giusto in sella alla bici

21 anni fa veniva a mancare Gino Bartali, sportivo dalle gesta quasi mitologiche, dentro e fuori la pista.

Per rinfrescare la memoria sulle sue gesta sportive, ricordiamo solo uno degli eventi ciclistici più clamorosi della sua carriera: torniamo con la memoria al 1948, e alla famosa - e atleticamente semi impossibile - vittoria di Bartali al Tour de France.

                    

Il giorno prima della scalata, Bartali si trovava al Carlton Hotel di Cannes quando fu chiamato da Alcide De Gasperi che gli chiese di vincere la tappa Cannes-Briançon per rasserenare gli animi molto accessi in quei giorni (in seguito all’attentato a Palmiro Togliatti). Si narra che Bartali gli rispose:  "Farò anche meglio di così. Vincerò l'intero tour!". E così fece, a distanza di 10 anni esatti dal primo Tour de France vinto.

 

Che la vittoria contro ogni previsione di Bartali abbia impedito una guerra civile forse è un azzardo storico, ma il segreto che questo formidabile corridore ha mantenuto fino alla sua morte è anche più importante e bello.

 

"Aveva tutto da perdere. La sua storia è uno degli esempi più drammatici, durante la Seconda Guerra Mondiale, di un italiano disposto a rischiare la propria vita per salvare la vita di estranei".

 

Il regista Oren Jacoby descrive così Gino Bartali nel suo documentario My Italian Secret, documentario sugli eroi silenziosi che aiutarono gli ebrei a sfuggire dalla persecuzione.

                    

Bartali fu uno dei ciclisti più famosi della sua epoca, tre volte vincitore del Giro d'Italia, con due vittorie al Tour de France, a 10 anni di distanza, prima e dopo la guerra.

 

Durante la sua vita, non parlò mai delle sue attività in tempo di guerra.

Fu solo dopo la sua morte, il 5 maggio del 2000, che i dettagli iniziarono ad emergere e Jacoby mise fine ad alcune lacune creando il suo film sugli eroi segreti italiani.

Nato a Ponte a Ema, il 18 luglio 1914, era figlio di contadini e raggiunse l'apice della sua carriera con l'avvicinarsi della guerra.

                    

Vinse infatti il suo primo Giro d'Italia nel 1936, conservando il titolo nel 1937. Poi, l’Italia intera festeggiò la sua vittoria al Tour de France nel 1938: era un avvenimento che Benito Mussolini attendeva con impazienza.

 

Mussolini infatti era dell’idea che se un ciclista italiano avesse trionfato al Tour, avrebbe dimostrato che gli italiani erano migliori rispetto agli altri anche sotto il profilo agonistico: era una questione di orgoglio nazionale e prestigio fascista.

Bartali fu espressamente invitato a dedicare la sua vittoria a Mussolini, ma lui si rifiutò, dedicando con gesto plateale la propria vittoria alla vergine Maria; proprio a metà del Tour di quell'anno, il gerarca fece pubblicare un Manifesto sulla razza, che portò in seguito alla privazione degli ebrei della cittadinanza o di qualsiasi posizione nel governo o nelle professioni.

 

5 anni dopo, nel 1943, in piena guerra mondiale, l'esercito tedesco occupò il nord e il centro Italia, iniziando immediatamente a rastrellare gli ebrei e a mandarli nei campi di concentramento.

 

A questo punto il cardinale di Firenze, monsignor Elia Dalla Costa, chiese a Bartali, un devoto cattolico, di entrare a far parte del DELASEM, acronimo per Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei, l’organizzazione di resistenza ebraica che offriva protezione agli ebrei in pericolo.

 

Il suo ruolo nella rete era particolarmente adatto al suo innato talento: divenne infatti un corriere. All'apparenza Bartali percorreva lunghi tratti in bici per allenarsi, ma in realtà trasportava fotografie e documenti d'identità contraffatti, tutti nascosti nel telaio e nel manubrio della sua bicicletta.

                    

Quando Bartali veniva fermato e perquisito, richiedeva espressamente che la sua bicicletta non venisse toccata poiché le diverse parti erano calibrate con molta attenzione per raggiungere la massima velocità.

 

Pare evidente che, scegliendo di far parte del DELASEM, mise la propria vita in estremo pericolo: ad un certo punto fu anche arrestato e interrogato dal capo della polizia segreta fascista a Firenze, dove viveva.

 

Una volta terminata la guerra, e per molti decenni dopo, ci volle molto lavoro investigativo, per ricostruire la storia di Bartali sotto queste vesti: il figlio Andrea ricordava come il padre fosse molto restio nel raccontare queste gesta. "Quando ho chiesto a mio padre perché non potevo dirlo a nessuno, mi disse: Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca."

 

Il 23 settembre 2013 Gino Bartali fu dichiarato Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem, riconoscimento per i non ebrei che rischiarono la propria vita per salvare un ebreo durante le persecuzioni naziste.

 

 

fonti immagini: rai play, amerigo milano, angensir, rivista unduci, trentino cultura

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